venerdì 31 ottobre 2008

Avrei voluto

Avrei voluto scrivere della bella manifestazione di ieri, tra musica, balli, slogan misurati e tanta, tanta gente: ragazzi e ragazze, bambini, anziani, tutti insieme a manifestare contro una legge cretina che mina la scuola pubblica alle fondamenta, ma poi ho letto su Repubblica di ieri, l'articolo di Curzio Maltese, che riproduco fedelmente, ed allora mi è venuta tristezza e preoccupazione. Il ricordo tragico del G8 di Genova (presidente del consiglio Silvio Berlusconi, Ministro dell'interno l'imperiese Claudio Scajola) mi è piombato addosso, togliendomi la voglia di ridere e scherzare.
Gli eventi dell'altro giorno, se le cose riportate sono vere (ma non credo possano esserci dubbi), segnano un discrimine. Fino all'altro ieri potevamo illuderci di vivere in un Paese democratico... da oggi, ahimè, non più.


Caschi, passamontagna e bastoni.
E quando passa Cossiga un anziano docente urla: "Contento ora?"

Un camion carico di spranghe e in piazza Navona è stato il caos
La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti

di CURZIO MALTESE


Gli scontri di ieri a Roma
AVEVA l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane" sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi.

Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove.

Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei tricolori. Urlano "Duce, duce". "La scuola è bonificata". Dicono di essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta, basta, andiamo dalla polizia!" dicono le professoresse.

Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire".

Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: "Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di Roma Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?". "Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia. "Vogliono fare passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra". La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto".

Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì".

È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati".

Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro: "Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza. Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.

Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente, Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si ritrae.

A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".
(30 ottobre 2008)

3 commenti:

Unknown ha detto...

Questo succede quando si sdoganano le destre, ma anche quando si equiparano i caduti di salò e quelli della Resistenza.
Accade quando c'è chi soffia sul fuoco, parlando a sproposito del 'pericolo comunista', neanche fosse alle porte l'Ottobre Rosso.
Questo succede quando c'è un sindaco con la croce celtica al collo, un ministro degli interni della lega e un presidente del consiglio...
Questo succede quando la gente o, meglio, il popolo si disarma (moralmente e culturalmente, non abbiamo bisogno di armi vere).
Occorre alzare il livello della politica; occorre diffondere un coscienza storica (ad esempio non è vero che il fascismo è stato 'buono' fino alla promulgazione delle leggi razziali, così come non è vero che gli italiani sono 'brava gente': in Africa abbiamo usato i gas contro le popolazioni inermi...)e sociale.
Occorre rilanciare una politica di sinistra che non sia espressione di elitte culturali che si parlano tra loro, ma dei bisogni reali di chi non arriva a fine mese.
Abbiamo molto lavoro da fare: rimbocchiamoci le maniche!
Giuliano Falco

Anonimo ha detto...

Questo succede anche in un momento - che sembra destinato,ahimé, a durare non si sa fino a quando - in cui la Sinistra è purtroppo ancora alla ricerca di una (nuova)identità, di una strategia unitaria e condivisa, di un gruppo dirigente coeso e lungimirante, insomma di un leader in grado di riunificare le cento e cento "anime" di un popolo disperso che nome non ha (più). Al momento non se ne vede l'ombra. Forse solo un compagno poeta come Niki Vendola potrebbe indicare una nuova meta, infondere una nuova speranza in questa nuova gioventù che ha perso (o che non ha mai avuto) fiducia nella classe politica, in TUTTA la classe politica di questo Paese (per rimanere nel cortile di casa). Ma i poeti, si sa, devono morire per essere ascoltati. Da chi? Da chi ha orecchie per intendere la voce della verità in mezzo al frastuono delle menzogne. Ma la verità (quella della poesia e dell'amore, intendo) si paga a caro prezzo, anzi non è neppure in vendita sul mercato delle idee. Chi è disposto a rinunciare a qualche misero privilegio, a qualche misera rendita di posizione, a qualche misero potere per essere credibile quando parla di giustizia, di eguaglianza, di libertà e, su un piano più alto, di amicizia e di fraternità? Non potrà essere questa classe politica troppo compromessa con le menzogne e i privilegi del potere a "rialzare il livello della politica". Spero di sbagliarmi. Arrivederci.

Marino ha detto...

Lunga vita a Vendola, comunque. Credo che ci sia bisogno di tutte le cose che dite: una politica più "alta" ed una identità più "riconoscibile". Oggi mancano entrambe queste cose. Aggiungo che, se anche ci fossero, i bavagli sarebbero più stretti di quanto non siano (vedi la lettura dei fatti di Piazza Navona). Menzogne e strumentalizzazioni sono armi terribili, soprattutto se messe in mano di chi controlla i mezzi di informazione. Hai ragione Giuliano, il lavoro è tanto, ma se l'Onda non si ferma, chissà ... Una lunga marcia inizia sempre con un piccolo passo!