martedì 22 luglio 2008

Ho fatto un sogno

“Ho fatto un sogno”. Con queste parole Martin Luther King dava forza ad un celebre discorso contro la discriminazione razziale nel suo Paese.
“Siamo fatti di quella materia di cui sono fatti i sogni” scriveva invece William Shakespeare ne “La Tempesta”.
E’ nel sogno che i desideri, le volontà di cambiamento, le emozioni, gli ideali si vivono nella loro interezza perché non condizionati dalla realtà di tutti i giorni.
In un sogno è possibile realizzare ciò che nella vita reale è impossibile, ed allora anche io mi sono rifugiato in un sogno ed ho visto una società ideale nella quale un Ministro della Repubblica che alza il dito medio contro il proprio inno nazionale (non importa che sia bello o brutto, è comunque il simbolo della nostra unità nazionale; è un simbolo nel nome del quale, da un lato molti nostri giovani sono morti per difendere il loro Paese, e dall’altro ci commuove quando suona in occasione di grandi imprese sportive; è un simbolo in cui tutti ci riconosciamo) non dico che abbia la dignità di dimettersi (neanche i sogni possono tanto), ma almeno che si vergogni!
Non voglio neppure entrare nel merito delle sue dichiarazioni sugli insegnanti meridionali, tanto sono grezze, ignoranti e volgari.
Ma c’è un aspetto che voglio invece sottolineare.
Questo governo sta fomentando una cultura dell’odio che potrebbe avere conseguenze drammatiche, ed i cui effetti cominciano già a delinearsi: dall’uccisione del ragazzo a Verona, reo di aver negato una sigaretta ad un gruppo di balordi neonazisti, ai pestaggi degli extracomunitari, alle aggressioni ai campi nomadi.
Non sottovalutiamo questo aspetto: lo sterminio degli ebrei è cominciato così, compresa la schedatura, evidentemente effettuata solo a fini di conoscenza e di protezione (ma non vi sembra di sentire parlare Maroni?).
L’odio è anche il sentimento che sta alla base delle attenzioni che il ministro Brunetta dedica ai dipendenti pubblici, additati al pubblico ludibrio come nullafacenti, assenteisti, inefficienti.
Ed anche la querelle sulla giustizia, oltre le necessità del premier di difendersi dai processi a suo carico, nasconde un odio profondo nei confronti di chi è deputato a far rispettare le regole di convivenza democratica.
Si potrebbe continuare perché, evidentemente, c’è nel Governo e non solo, un concetto di casta così radicato che arriva a pensare che (è solo un esempio, per carità) se una delle alte cariche dello stato uccide l’amante, violenta un bambino, o ruba la Gioconda per farci dei coriandoli a carnevale non possa essere processato.
Per far passare questi assurdi provvedimenti si tenta di dividere e di mettere le parti una contro l’altra per giustificarli con la necessità di difendersi. I politici contro i magistrati, gli statali contro i lavoratori autonomi, i sani contro i malati, i settentrionali contro i meridionali, i cattolici contro i mussulmani, gli italiani contro gli stranieri.
E sì, il sogno non era vedere sulle guance di Bossi il velo rosso della vergogna. E’ quello di poter vivere in un Paese normale, unito, solidale.

giovedì 17 luglio 2008

Politica e Antipolitica

Ieri sera, spinto dal sacro fuoco della conoscenza e della curiosità, sono andato in Sala Rossa del Comune per assistere alla presentazione del libro di Ferruccio Sansa e Marco Preve “Il partito del cemento” che, come ormai noto anche ai liguri più distratti, conduce un’inchiesta giornalistica sulle “presunte” speculazioni edilizie nella nostra regione.
Ma, ahimè, la mia curiosità non è stata soddisfatta per un motivo molto banale: c’era così tanta gente che era praticamente impossibile entrare in una sala gremitissima e stracolma di uomini e donne, di ogni estrazione politica, sociale e di età. Anche avvicinarsi alle porte era un’impresa titanica per la calca di persone ammassate che tentavano di rubare qualche parola dei relatori.
Altrettante sono state le persone che, come me, vista l’impossibilità di assistere, è andata via.
Non riferirò, quindi, in questo post, del merito dell’inchiesta; mi riservo di farlo, eventualmente, dopo la lettura del libro, ma voglio comunque fare alcune riflessioni, proprio partendo dall’afflusso di persone.
Quello che mi ha colpito, e non è la prima volta, è la voglia della gente di partecipare.
Troppo spesso si sente dire, soprattutto da parte di esponenti politici di sinistra (ahimè), che la gente non ha più voglia di contare, che la televisione la fa ormai da padrone, che siamo in una fase di pieno riflusso, mentre, al contrario, le piazze si riempiono, e sono per questo demonizzate e bollate di antipoliticità, i convegni sono partecipati in maniera straordinaria, la gente, per strada, parla e si confronta sui temi politici.
Un dato accomuna questa partecipazione: è una partecipazione al di fuori dei tradizionali partiti.
Attenzione, al di fuori, non contro.
Nelle sale e nelle piazze, infatti, si incontrano militanti dei vari partiti e movimenti, che si riuniscono per discutere, per ascoltare, per informarsi, fuori dalle liturgie degli organismi.
Non sono un sociologo e non sono in grado di dire perché la partecipazione ha queste caratteristiche. Posso solo azzardare un’ipotesi, partendo dalla mia personale esperienza e dalle mia personali delusioni.
Le persone non hanno più voglia dei riti della politica, vogliono una partecipazione libera;
non vogliono essere convinte, vogliono capire;
non vogliono delegare alla nomenclatura, vogliono contare e decidere.
Sono stanche delle discussioni di cui si conosce già la conclusione, decisa nelle segrete stanze del potere (piccolo o grande che sia)
Non è antipolitica, è voglia di una politica diversa, che parta dalle domande e non pretenda di dare sempre e comunque le “proprie” risposte.
Una politica che ascolti i bisogni veri delle persone.
Una politica fatta per e con i cittadini e non per e con i dirigenti di partito.
Una politica pulita, sana, che si ponga, come dovrebbe essere, al servizio della collettività e non pretenda, al contrario, che la collettività sia al proprio servizio.
Una politica che venga considerata un mezzo per risolvere i problemi ed i conflitti di una società complessa come la nostra e non un fine per affermare il potere dei partiti.

mercoledì 9 luglio 2008

Barzellette e politica

E così, come forse facilmente prevedibile, tutti a dissociarsi dalle esternazioni di Grillo e della Guzzanti, ma neppure una parola sul significato politico che, in tutta Italia, hanno portato a manifestare parecchie decine di migliaia di persone contro lo scempio che il Governo sta perpetrando contro la giustizia di questo Paese.
E’ evidente che si punta l’attenzione sul dito per nascondere la luna che c’è dietro.
Certamente improvvide sono state le dichiarazioni dei due comici, ma appunto, sono comici. Il loro mestiere è fare ridere e non disegnare scenari o programmi politici. E chissà perché quando Bossi lancia le sue sbruffonate sulla discesa su Roma in armi del glorioso popolo padano si tratta solo dei vaneggiamenti di “uno fatto così”, mentre se la Guzzanti se la prende col Papa, allora è la manifestazione di piazza che è sbagliata.
La realtà, per come la vedo io, è che una buona parte del popolo italiano non vuole questa deriva antidemocratica che Berlusconi sta imponendo al Paese, forte di una maggioranza parlamentare che gli permette qualsiasi cosa e di una opposizione che più grigia non si può.
In effetti stiamo assistendo alla distruzione delle colonne su cui si regge tutta la nostra democrazia: dall’autonomia ed indipendenza dei poteri, alla libertà di stampa, all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.Non si tratta solo (e già sarebbe di una gravità estrema) di difendere il Cavaliere dai processi contro di lui. E’ in gioco la struttura democratica di questo Paese. Certo, ancora si vota e si voterà, ma con regole drogate e falsate dal controllo dei mezzi di comunicazione, dall’impunità dei potenti qualunque cosa abbiano commesso, commettano o commetteranno e senza che tutto ciò si venga a sapere, vista la mordacchia che si sta cercando di mettere ai giornali ed alle indagini.
Grillo ha un bel mandare a fan… tutti quanti, invitando a lasciare questo Paese, ma ahimè, non tutti hanno guadagnato miliardi con queste invettive ed ho il “sospetto” che molti italiani non possano o non vogliano lasciare il loro Paese. Ed allora è qui ed adesso che bisogna intervenire, denunciando i tentativi berlusconiani ovunque, nei bar, sugli autobus, sotto gli ombrelloni per tentare di far cadere la cortina dagli occhi di chi ha visto nella nostra destra squallida una scorciatoia per la soluzione dei loro problemi quotidiani.
Cercando però di arginare un rischio: che si confonda la giustizia col giustizialismo, come temo stia facendo Di Pietro (oggi, ahimè, l’unica opposizione parlamentare del Paese). Non sempre e non a tutti i costi i giudici hanno ragione e la magistratura ha comunque bisogno di riforme e di una iniezione potente di efficienza. Non è tollerabile che un numero così alto di reati anche gravi cada in prescrizione o che boss mafiosi vengano messi in libertà per l’ignavia di chi dovrebbe condurre le indagini o stilare le motivazioni di una sentenza.
Questo aspetto è, per assurdo, l’arma più potente di Berlusconi e dei suoi numerosi avvocati. Da un lato si sfruttano tutti i cavilli per perdere tempo ed avvicinarsi alla tanto agognata prescrizione e, dall’altro, si espone al ludibrio la Magistratura tutta (anche la parte sana, quella che rischia la vita ogni giorno per fare il proprio dovere) denunciando la sua inefficienza e la sua lentezza, convincendo la gente che di riforme c’è bisogno, senza poi stare a guardare se il codicillo, immerso in una marea di altri provvedimenti, per lo più inutili o insignificanti, quando non controproducenti, permette al premier di salvarsi dalle condanne.
Questa è la situazione che abbiamo davanti ed è solo con l’attenta vigilanza di tutti, col costante impegno, con il coinvolgimento diretto di ciascuno che potrà, forse, essere possibile fermare lo tsunami che ci sta travolgendo tutti, consapevoli che, per motivi diversi, che non voglio qui esaminare, la stagione della delega ai partiti è finita e che, sui diritti, si sta giocando la battaglia più importante per la nostra democrazia.
Dal dopoguerra ad oggi gli italiani hanno saputo scendere in campo direttamente e più volte (penso alla battaglia per il divorzio, a quella per l’aborto, alle leggi a tutela del lavoro), e sempre hanno raggiunto dei risultati forse addirittura al di à delle loro stesse aspettative. La manifestazione di ieri ha dimostrato che questa anima c’è ancora. E’ nostro dovere coltivarla e farla crescere. Sarà nostra responsabilità non riuscirci.

mercoledì 2 luglio 2008

Sono un lettore distratto

Probabilmente sono un lettore distratto, ma al ritorno da una breve vacanza in Francia, mi sembra di essere ritornato in un Paese diverso, e non migliore, da quello da cui sono partito non più tardi di due settimane fa.
L’Italia, da sempre Paese dell’accoglienza, ponte nel Mediterraneo verso culture e Paesi diversi è improvvisamente al centro dell’attenzione europea per discriminazioni razziali.
Grazie alla solerzia del nostro amato clarinettista jazz, ex avvocato della Avon cosmetics, già denunciato e condannato per resistenza a pubblico ufficiale e non so quali altri reati, oggi Ministro dell’Interno, siamo l’unico Paese, credo al mondo, che prenda le impronte digitali ai bambini, ovviamente solo quelli ROM.
L’Italia, patria e culla del diritto (fin troppo a giudicare dalla farraginosità delle nostre leggi) oggi assiste ad uno scontro senza precedenti tra i poteri dello stato, provocando addirittura l’intervento preoccupato del Capo dello Stato (peraltro immediatamente strumentalizzato dal nostro ineffabile Berlusconi) perché qualcuno, non si sa se in veste di avvocato del premier o di ministro di Grazia e Giustizia, si è inventato una norma che, udite udite, blocca i processi in corso per i reati commessi prima, guarda caso, della data della vicenda Mills, che vede una prossima, quasi certa condanna del primo ministro.
Questo alla faccia della certezza del diritto e della legge uguale per tutti (ma che differenza c’è tra un reato commesso prima del 2003 e lo stesso reato commesso il giorno dopo? Boh!).
L’Italia, da sempre attenta alla dignità della persona, che si inventa per far fronte ai bisogni dei pensionati più poveri? Addirittura la tessera annonaria (in vigore durante la seconda guerra mondiale) per costringere i nostri pensionati a presentarsi nei negozi dichiarando il proprio stato di indigenza: ma non era più facile, dignitoso e meno costoso aumentare le pensioni minime della stessa cifra? O si aveva paura che il pensionato con 700 euro al mese spendesse l’aumento, anzicchè in beni di prima necessità, in viaggi alle Maldive, televisori al plasma o un trapianto di capelli?
L’Italia, patria dei Gentile, dei Croce e oggi agli ultimi posti come livello di istruzione dei nostri giovani, che si inventa attraverso il suo ministro all’istruzione Gelmini (che molto presto, anche se sembrava impossibile, farà rimpiangere la Moratti) per far fronte alla situazione drammatica in cui versano le nostre scuole?
Semplice, da un lato la “cura da cavallo” per diminuire il numero degli insegnanti (ho una proposta, seria, cominciamo a non considerare nel numero degli insegnanti quelli di religione, scelti dalla Curia ed imposti alle nostre scuole, al di fuori di ogni graduatoria, percorso abilitativo, ed immediatamente in ruolo) e dall’altro il ritorno al grembiulino. Ma ve lo ricordate il grembiulino nero, col fiocco azzurro ed il collettino bianco degli anni cinquanta? Allora serviva ad uniformare la cultura e come mezzo di disciplina oggi (mi sembra impossibile, ma è proprio così) per coprire gli abiti griffati. Complimenti Ministra (anzi no, MinistrO, altrimenti magari IL ministrO per le pari opportunità, l’onorevole Carfagna si potrebbe inquietare): così i bambini ricchi continuano a vestire griffati e quelli poveri avranno una spesa in più.
Ma via, cerchiamo (cercate) di essere seri: la scuola è l’investimento più importante che un paese possa fare ed è addirittura doloroso vederne svilire i problemi a questioni di numeri o abbigliamento.
Ahimè, spulciando con attenzione i giornali di questi giorni, potrei trovare delle altre perle, ma queste mi sembrano sufficienti per indignarmi e per aderire, almeno spiritualmente e nelle idee, alla manifestazione di Roma autoproclamata contro questa che ormai ha sempre più l’aspetto di una dittatura.
Quello che mi lascia perplesso ed interdetto è l’attendismo del Partito Democratico. Perché aspettare settembre per manifestare contro questi oltraggi alla democrazia ed alla parità dei diritti, perché snobbare la manifestazione dell'8 luglio? perché non lanciare da subito una campagna di mobilitazione contro questi fatti? Non vedo che due possibili risposte: da un lato un partito talmente dilaniato al proprio interno da non riuscire a trovare una posizione comune neppure su come fare l’opposizione e dall’altro la voglia di strumentalizzare ai fini congressuali un qualunque intervento contro questo governo, per rafforzare una leadership sempre più traballante.
In entrambi i casi, cari democratici, così non va! Svegliatevi per il bene vostro e di quello del Paese!