venerdì 9 maggio 2008

Da dove cominciamo?

Il risultato elettorale ha aperto, com’è giusto che fosse, un profondo dibattito nei partiti della sinistra sulle ragioni che hanno portato a questa sconfitta che definire storica è forse azzardato in senso ottimistico.
Incredibilmente, da molte parti del Partito Democratico, invece, si alzano molte voci a sostegno di una tesi, a mio modo di vedere, perlomeno originale: il PD era appena nato e, tutto sommato, il risultato elettorale ha comunque premiato il progetto, per il suo contenuto di novità e quindi la strada scelta per la sua costituzione è corretta e condivisa dall’elettorato.
La sconfitta elettorale sta, come immediato corollario, dentro il gioco democratico e non metterebbe in evidenza una particolare peculiarità italiana, mentre la scomparsa di ogni traccia della sinistra dal Parlamento è per certi versi un bene, poiché concorre ad una semplificazione del quadro politico.
Ciò che colpisce, sia nel dibattito degli esclusi, che in quello del PD è che tutta l’analisi si svolge all’interno di sé, in una sorta di autoreferenzialità tipico della sinistra, quasi che i confini del mondo coincidessero con i confini del proprio particolare.
Un dibattito tutto organizzativo nel PD, ed uno tutto rivolto a cercare i propri errori per quanto riguarda sia la Sinistra Arcobaleno, sia il nascente Partito Socialista.
Quello che macroscopicamente è mancata è una riflessione più attenta non sulle ragioni e sugli errori di una sconfitta, ma sulle ragioni di una vittoria.
Il Partito delle Libertà (ancora più nuovo del Partito Democratico) non ha vinto per demeriti della sinistra, né perché ha saputo proporre un modello di Paese più rispondente alle attese dei cittadini.
Ha vinto semplicemente perché la società, in questi anni, è cambiata ed un modello culturale che oggi è dominante nel nostro Paese è un modello che non si rifà alle parole d’ordine ed agli ideali di uno schieramento che, in maniera ampia, si colloca a sinistra.
Sicurezza, lavoro, salute, fiscalità, pari opportunità, diritti sono parole coniugate in senso individuale, come affermazione di sé, dei propri interessi, dei propri diritti, senza attenzione per un interesse superiore che è quello della collettività.
Ed allora sicurezza significa togliere i venditori ambulanti abusivi dalle strade e non mettere in galera chi delinque, indipendentemente dalla razza o del colore della pelle o del passaporto che ha in tasca.
Il lavoro deve essere stabile e garantito per sé o al massimo per i propri figli, mentre se ci sono ragazzi che non riescono a garantirsi un futuro o sono “bamboccioni” (e sì, questa un ministro di un governo di centrosinistra, poteva risparmiarsela), o non hanno iniziativa, o non hanno voglia di lavorare.
E così via, disegnando in conclusione un modello che, di per sé, non è né giusto, né sbagliato.
Semplicemente è un modello che dovrebbe non essere condiviso da una sinistra europea (per i democratici americani il discorso sarebbe probabilmente più complesso), a meno di una abiura totale dei propri ideali culturali e storici, mentre finora (ed è questo il limite maggiore che vedo nell’azione del Partito Democratico) si è cercato di avere consenso inseguendo i cambiamenti in atto nella società.
Da qui credo si debba partire per cercare di rilanciare la sinistra in Italia.
Ma per far questo credo sia necessario uscire dai rigidi steccati dei partiti e cominciare a fare una battaglia che è appunto una battaglia di “Cultura”, uscendo dalle sedi dei partiti e confrontandosi con la società.
Come?
Nel mio piccolo voglio lanciare una proposta: una sede di dibattito, di approfondimento di temi, di confronto che mi piace chiamare “Laburista”, non legando questo al labour party inglese, che già non naviga in buone acque, ma per superare la vecchia diatriba comunismo/socialismo che ormai non mi sembra più attuale (se non nelle parole e nei pensieri di qualche inguaribile nostalgico).
Sono convinto che soltanto una battaglia culturale potrà consentire alla sinistra di tornare a vivere nel nostro Paese con la dignità, il ruolo ed il consenso che in altri paesi, anche vicini a noi, i partiti di sinistra hanno.
Continuare a discettare se sia stato un errore eliminare la falce ed il martello dal simbolo, o se il Partito Socialista paghi ancora per gli errori di tangentopoli, o se sarebbe stato meglio una riproposizione dell’Ulivo o una organizzazione di partito pesante o leggera non porterà la sinistra né al governo né in parlamento per i prossimi decenni, se non si affrontano in maniera coerente le vere ragioni che stanno alla base, non tanto o non soltanto, della sconfitta della sinistra, ma che hanno consentito alla destra di trionfare in Italia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

sono un'insegnante di 60 anni circa che ha sempre fatto "politica"(nel senso che mi sono sempre interessata,ma non ho mai partecipato attivamentee non m sono mai iscritta ad un partito) Mi trovo nella sinistra readicale extraparlamentare e chi più ne ha più ne metta!.... Io mi indigno ! So che la mia sinistra ha molte persone che sarebbero disposte a lavorare seriamente per rimettere assieme i cocci e non dar ragione a chi ha operato per il " divide et impera!" Stiamo elaborando un progetto insieme ad un gruppo di persone che sono senza tessera e che hanno visto come una speranza di unione quella "Sinistra arcobaleno" che invece è sata vista da molti più realisticamente come un cartello elettorale
Ci siamo riuniti ieri sera qua nella sede di Lavagnola della sinistra arcobaleno e ci incontrreremo nei primi giorni della prossima settimana.